Categoria: Le vite degli alti

Dave Eggers trilogia: raccontare la vita come un romanzo

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La prima cosa che ho letto di Dave Eggers è stata L’opera struggente di un formidabile genio. Era il 2001, forse il 2002, ero all’università e stavo per essere investita dall’ondata di letteratura americana in cui mi sono crogiolata in quegli anni. Eggers, Foster Wallace, Palahniuk e poi Auster, Franzen, Safran Foer, e ancora Eugenides, Coupland, Sedaris  e gli altri che hanno riempito la libreria e l’immaginario di Stati Uniti.

Poi c’è stato per me un lungo periodo di decompressione, di abbandono di alcuni scrittori e recupero dei classici, statunitensi e no. E un bel giorno ho scoperto di non aver letto un paio di libri di Eggers.

Ho letto Zeitoun appena uscito, nel 2010, in inglese e me ne sono innamorata, ma ho perso completamente l’uscita di What Is the What, nel 2006. Non so perché, anzi, un’ipotesi posso avanzarla: magari la colpa è della traduzione del titolo, che da What is What è diventata in italiano ‘Erano solo ragazzi in cammino. Autobiografia di Valentino Achak Deng’ (sì, credo che sia andata proprio così, d’altronde non è molto invitante un libro con quel titolo…).

Andare oltre al titolo e recuperarlo è stato un vero colpo di fortuna, e l’ho fatto appena prima di prendere l’ulltimo libro della trilogia ‘reale’ ‘di Eggers, Il monaco di Mokha.

In cosa si assomigliano queste storie, tanto da essere definite una vera e propria trilogia? Tutti e tre i libri raccontano la vita reale di ragazzi immigrati negli Stati Uniti, protagonisti di storie nella storia.

In Zeitoun un siriano-americano, durante il disastro dell’uragano Katrina a New Orleans nel 2005, si impegna per giorni ad aiutare in canoa chi ha bisogno di soccorsi. Ma nel clima di panico del post 11 settembre, Zeitoun viene arrestato senza spiegazioni e recluso in condizioni pari a quelle di Guanatanamo.

Erano solo ragazzi in cammino racconta una storia vera, a tratti romanzata, quella dei cosiddetti Lost Boys, le migliaia di bambini che fuggirono dai villaggi decimati dalla guerra civile in Sudan e vagarono, per anni, attraverso zone di guerra infestate da leoni. La storia di come è nato il libro la trovate in questo articolo, pubblicato sul Guardian e tradotto da Repubblica.

E infine ecco l’ultimo capitolo della trilogia, la storia di Mokhtar Alkhanshali (conosciuto universalmente come Mokhtar), yemenita, coltivatore, torrefattore e importatore di caffè nello Yemen devastato dalla guerra. Mokhtar a 25 anni, senza soldi e senza conoscenze del settore, intraprende uno sforzo folle per ricreare la prima rotta commerciale originaria del caffè, quella che dalle colline dello Yemen e dell’Etiopia, dove per la prima volta venne coltivata la pianta, lo porta in Europa e in America.

In tre anni Mokhtar trova il modo di diventare un esperto di caffè, di convincere centinaia di agricoltori nella sua terra natale a rinunciare alla coltivazione del khat e iniziare a coltivare l’Arabica; di raccogliere fondi per la lavorazione, la torrefazione e la spedizione. E fa tutto questo in un momento in cui lo Yemen sta implodendo tra guerra e carestia. La fine della storia è un successo di vita e commerciale, una storia di passione e perseveranza che si traduce in un caffè che possiamo anche assaggiare (non proprio a prezzi da bar…) e ordinare direttamente dal sito di Mokhtar.

Le vite degli alti: progettare una cucina adatta alla propria altezza

Essere alti è sicuramente un privilegio: assicura una vista migliore ai concerti, ti permette un passo più lungo, ti evita di essere ad altezza ascelle in metropolitana, ti dà una prospettiva diversa sulle cose.

I problemi spesso sottovalutati sono però nel rapporto con gli oggetti di uso comune, sviluppati intorno a un’altezza media di 1,70 metri: i pantaloni da uomo, i sanitari bassi, i piani di lavoro delle cucine, gli sportelli negli uffici pubblici, le poltrone di cinema e treni.

Qui a etiqette superiamo abbondantemente 180 cm entrambi, e nel corso della nostra vita abbiamo collezionato esperienze frustranti di vita quotidiana con la gobba per lavare le stoviglie, con la schiena dolorante per tagliare le verdure o con le gambe ripiegate troppo in bagno.

Per questo quando è stato il momento di progettare casa nostra lo abbiamo fatto tarando tutti i mobili sulla nostra altezza, con particolare attenzione ai piani della cucina dove passiamo un sacco di tempo.

Grazie a un’accurata progettazione con SketchUp, e a due libriccini trovati nei negozi di arredamento sull’ergonomia perfetta (uno di Valcucine, disponibile a questo link, l’altro di Del Tongo, che si chiama Best Solutions che trovate invece in download a questo link) per la progettazione delle cucine, e al lavoro del nostro falegname di fiducia, abbiamo realizzato la nostra cucina proprio come la volevamo, con i piani di lavoro alti 100 cm e un’isola centrale della stessa altezza.

Il supporto dato dai libri di progettazione è stato fondamentale, perché la cucina deve rispettare alcuni criteri di ergonomia per essere funzionale, e vanno inoltre ben studiati i percorsi tra piano di lavoro, fuochi, lavandino e dispensa. Alla fine il progetto che abbiamo portato al falegname è stato quello che vedete qui sotto, e la realizzazione fedele quella nella foto in alto.

cucina persone alte

I piani e l’isola non sono di certo comodi per tutti: parenti e amici di altezze normali spesso si trovano in difficoltà nell’utilizzo, ma per noi questa ergonomia è una conquista di cui gioiamo ogni giorno.